Quando si visita l’Italia ci si accorge che ad allietare l’animo e a deliziare i sensi, non sono solo le estreme bellezze storiche e paesaggistiche, ma anche la preziosa arte culinaria che caratterizza ogni regione, provincia o borgo.
In Italia ogni campanile sta ad una o più ricette, e questa bizzarra proporzione vale anche quando sembrano ricette identiche: il nome infatti non deve trarre in inganno, perché basta un solo ingrediente per modificare e rendere unico un piatto. E’ sufficiente una sola e all’apparenza insignificante modifica per caratterizzare una pietanza e renderla tipica di quel preciso luogo.
Nella mia regione, il Veneto, una delle più celebri ricette, ovviamente anch’essa soggetta a campanilismi culinari, è lo spiedo trevigiano. Mi riferisco in particolare alla tradizione dello spiedo della Marca trevigiana, che rappresenta una vera propria eccellenza e che, come tale, va raccontata e soprattutto celebrata.
Basti pensare che tra il 2005 e il 2006, a Solighetto, frazione del comune di Pieve di Soligo in provincia di Treviso, sono nate l’“Accademia dello spiedo dell’Alta Marca” e l’associazione “Maestri dello spiedo”.
Questa passione verso la ricetta dello spiedo trevigiano non va cercata solo nell’attenzione per gli ingredienti o la ricerca dei segreti nel metodo di cottura. Va ricercata anche, bensì, in ciò che lo spiedo in sé rappresenta sia a livello culturale sia a livello sociale.
Il metodo di cottura dello spiedo trevigiano
Lo spiedo è un metodo di cottura tra i più antichi tanto che ne parla addirittura Omero, nel IV libro dell’Iliade, quando descrive un banchetto in cui le carni vengono cotte su un ferro, lo spiedo appunto.
Sono proprio le carni le protagoniste di quest’arte. A seconda della disponibilità, della zona e a della stagione, il tipo di carne cambia. Si è soliti usare la carne di maiale e di animali da cortile come faraone e polli. Un tempo venivano cotti allo spiedo soprattutto uccelli di piccola taglia.
La scelta della carne incide anche sulla tecnica di cottura: se ad esempio si cuociono la carne di coniglio e quella di pollo, queste non vanno messe vicine, in quanto, da crude, il loro odore caratteristico e poco piacevole è meglio che venga alternato con quello della carne di maiale.
Tra un pezzo di carne e l’altro poi, ci devono essere le cosiddette “lardèe” o “lardine”. Si tratta di pezzi di lardo accostati ad una fogli di salvia. Meglio il lardo piuttosto che la pancetta. Quest’ultima tende infatti, con il calore, a seccarsi troppo presto e non sarebbe per questa ragione adatta ad “ungere” le carni e donare loro quel sapore caratteristico.
Per sapere se la cottura procede bene, è importante osservare l’aspetto della carne: deve essere lucida, trasudare letteralmente grasso. E il grasso che divide i vari tipi di carne funge da vero e proprio conduttore del gusto. E’ questo il segreto dello spiedo della trevigiano. Con il grasso rilasciato dalla carne si possono condire i contorni che accompagneranno il piatto. Verdure, fagioli o polenta, preferibilmente quella bianca, sono gli abbinamenti ideali.
Altro aspetto di primaria importanza per cuocere allo spiedo trevigiano è poi la scelta della legna da ardere. Il miglior tipo di legna è quella di carpino o frassino, più secca e meno resinosa. La cottura dello spiedo è lunga, lenta, 5 o 6 ore di attesa per un piatto che ha tutti i requisiti per farsi così tanto desiderare.
Ma è proprio in questa lunga attesa che è custodito l’aspetto culturale dello spiedo trevigiano. Tutto questo tempo impiegato per prepararlo, mentre la carne gira sul fuoco, è prezioso.
E’ il tempo della convivialità, è il piacere di aspettare qualcosa di buono insieme alle persone con le quali quella bontà verrà poi condivisa. Perché è proprio durante lo scorrere di quelle ore in cui “gira su’ ceppi accesi lo spiedo scoppiettando” che i calici si riempiono di buon vino, i bicchieri si sfiorano in un brindisi e i racconti si mescolano ai sorrisi.
Immagine di copertina: Referral Cooking