Le masserie erano quindi delle grandi aziende agricole abitate, dove ovviamente risiedeva il padrone con la famiglia, ma la grande costruzione rurale comprendeva anche gli alloggi dei contadini, una cappella, le stalle, i depositi per i foraggi e i raccolti. La masseria ripropone in generale lo schema della casa con corte agricola di tradizione mediterranea: di questa ha in comune quasi sempre il recinto, costituito da un muro alto e fortificato, e un unico ampio spazio centrale anche con funzione di aia, su cui si affacciano gli ingressi dei vari edifici di residenza e lavoro. Le masserie più antiche poi, risalenti ai secoli XIII e XIV, sorgono spesso sugli antichi casali di epoca bizantina, e spesso ne conservano alcune parti, come per esempio le torri di avvistamento per la difesa, alte anche fino a 20 metri. Il sistema difensivo era molto avanzato e prevedeva torri di vedetta a distanze regolari tra di loro, attraverso cui poter lanciare l’allarme in caso di arrivo di eventuali aggressori e trasmetterlo ai casali vicini, anche in modo da potersi tutelare a vicenda.
Il termine “masseria” deriva da “massa”, parola che per gli antichi romani indicava il latifondo formato da grandi aggregati rustici. Nel corso del Medioevo non viene persa questa accezione, ma a partire dal XIV secolo la masseria diviene un luogo di sfruttamento agricolo gestito da massari (i “custodi” della masseria) per conto di grandi feudatari od ordini ecclesiastici. Tuttavia molte diverranno presto di proprietà regia, regolate da particolari statuti, e nel 1443, con la riorganizzazione voluta dal re Alfonso d’Aragona, punti strategici per la gestione della produzione agricola, ma soprattutto del traffico del bestiame soggetto a transumanza. Si riconoscono infatti per le loro peculiarità le masserie dette di pecore e quelle dette da campo, le più diffuse, specializzate nella lavorazione dei prodotti agricoli, fra cui spiccano soprattutto le olive, l’olio, la frutta o il vino.